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Il logo olimpico: da emblema a strumento di promozione

03 May 2018
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Non un semplice simbolo, ma il marchio usato per la promozione di un “prodotto", ossia il paese ospitante i Giochi Olimpici: stiamo parlando del logo Olimpico, che negli anni si è evoluto non solo parallelamente al contesto storico e culturale, ma anche allo sviluppo degli strumenti di comunicazione e promozione, diventando esso stesso uno strumento pubblicitario, se non addirittura propagandistico.

Di eventi sportivi di rilievo, come i Giochi Olimpici invernali di PyeongChang appena passati, non rimangono impressi nella memoria solo le gesta e le vittorie degli atleti o gli aneddoti e fatti salienti che li hanno caratterizzati, ma anche il modo in cui l’evento stesso viene promosso e comunicato, dalla cerimonia d’apertura alla scelta della mascotte. In questo senso, nessun elemento è importante quanto il logo (o emblema) Olimpico. Quando il logo è particolarmente efficace (o, al contrario, particolarmente brutto), ce lo ricordiamo nel tempo, associandolo immediatamente a quella precisa edizione. 

Ma qual è la reale importanza del logo Olimpico? E come si è evoluto il logo nel corso della storia?

Il logo dei Giochi di PyeongChang: i valori Olimpici e quelli del paese ospitante

Partiamo proprio dal logo di PyeongChang: prima e durante i Giochi avremo sicuramente avuto modo di leggerne la spiegazione e capirne la composizione. Riassumendo, il logo di questa edizione invernale - estremamente stilizzato e minimalista - è una combinazione di caratteri coreani che compongono i suoni “P” e “CH”, ossia le iniziali di PyeongChang, e comprende i colori tradizionali coreani che, guarda caso, sono gli stessi dei cerchi olimpici. Il primo carattere, inoltre, rappresenta l’armonia fra cielo, terra e umanità, mentre il secondo è un chiaro riferimento alla neve e al ghiaccio.

Niente di nuovo, ci verrebbe da dire, al di là che il logo piaccia o no dal punto di vista estetico: quello che ci si aspetta da un emblema Olimpico è ritrovarci, da una parte, un riferimento alla nazione ospitante, dall’altra un richiamo ai Giochi Olimpici e ai valori di unità e armonia fra i popoli di cui si fanno portavoce. D’altra parte, fin dalla nascita delle Olimpiadi moderne è stato posto fortemente l’accento sull’unione fra i popoli, e i 5 cerchi Olimpici stessi richiamano questo concetto.

Andando a memoria, vari sono i loghi di passate edizioni, sia estive sia invernali, che hanno giocato su questi due fattori, a volte con un richiamo più evidente ad elementi distintivi del paesaggio, della cultura o dei monumenti più riconoscibili della nazione ospitante (come Barcellona 1992 o Sydney 2000), a volte cercando di fare un mix fra tali elementi e lo spirito unitario dei Giochi (Seoul 1988, Torino 2006).

       

Da simbolo a strumento di promozione e propaganda

Ma è sempre stato (solo) così? Il logo ha sempre avuto un semplice scopo rappresentativo delle caratteristiche della nazione ospitante e/o dei valori Olimpici? In realtà no: analizzando in modo più approfondito la storia e le evoluzioni degli emblemi Olimpici, capiamo innanzitutto che il logo si è evoluto parallelamente allo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di promozione; in secondo luogo, emerge come i loghi, soprattutto in alcuni casi specifici, abbiano riflettuto il ruolo promozionale, per non dire propagandistico, che i Giochi Olimpici hanno rivestito per alcuni paesi ospitanti.

È chiaro a tutti che i Giochi Olimpici non sono solo un importantissimo evento sportivo, ma anche un enorme evento mediatico, un vero e proprio terreno di promozione per le nazioni ospitanti, che per “pubblicizzarsi" al meglio hanno capito la necessità di presentarsi con un marchio forte, il logo appunto. La prima edizione delle Olimpiadi moderne in cui il potere mediatico e promozionale dell’evento viene sfruttato al meglio è quella ssegnata a Berlino nel 1936: la Germania nazista crea una copertura mediatica mai vista prima (furono i primi giochi della storia ad essere ripresi e trasmessi dalla televisione), una vera opera di propaganda fatta sulla pelle dello sport e che comprende anche un film girato dalla regista del partito, Leni Riefenstahl. Il logo di quelle Olimpiadi si inserisce perfettamente nel disegno propagandistico della Germania: l’aquila, simbolo della città di Berlino, irrompe in modo quasi violento, sovrastando addirittura i cerchi Olimpici, più che accompagnandosi ad essi in modo armonioso, e dando immediatamente un’idea di potenza e supremazia. Completa il tutto la frase “Ich rufe die Jugend der Welt” (chiamo la gioventù del mondo) che si riconduce, più che ai valori Olimpici, al lessico del nazismo: del 1926 è la fondazione della gioventù hitleriana, e più in generale è evidente come il partito puntasse sul controllo ideologico dei giovani e reputasse la gioventù come un obiettivo primario dei propri messaggi propagandistici. Da non sottovalutare nemmeno la scelta del “font”, che richiama immediatamente la propaganda nazista. 

Anche ai giorni nostri, però, spiccano alcuni loghi che possono essere considerati come portavoce di messaggi importanti rivolti al resto del mondo da parte del paese ospitante. Sicuramente più positivo e inclusivo rispetto all’emblema del 1936, ma comunque forte e significativo è il logo dei giochi di Pechino 2008. Con i Giochi Olimpici del 2008 la Cina si presenta al resto del mondo come potenza economica e politica, e non più come paese emergente, e il logo “Dancing Beijing”, oltre a rappresentare alcuni elementi della cultura e della tradizione cinese, raffigura l’apertura di Pechino verso il resto del mondo, il desiderio di inclusione e l’accoglienza verso le persone provenienti da altri paesi. Non male, per un paese e un popolo che spesso sono ancora visti come chiusi in se stessi e dal resto del mondo, e un messaggio forte, quasi di rottura, lanciato proprio tramite il logo Olimpico, approfittando di un evento in grado di fare da potente cassa di risonanza. 

Dai manifesti artistici ai loghi pubblicitari

L’importanza del logo come marchio usato per promuovere un prodotto, ossia il paese ospitante, è cresciuta di pari passo con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e pubblicitari. Non dimentichiamo, infatti, che il primo logo delle Olimpiadi moderne risale a Parigi 1924: prima esistevano solo i manifesti (che esistono tutt’ora, ma che hanno una visibilità molto diversa rispetto agli emblemi). 

Le differenze fra i manifesti delle prime edizione e i loghi, ovviamente, sono abissali: destinati perlopiù alle affissioni e realizzati da artisti, i manifesti Olimpici di fine Ottocento e inizio Novecento si presentano come delle opere figurative ricche di dettagli che ricalcano il modello pubblicitario dell’epoca, basato appunto sull’affissione di manifesti realizzati anche da artisti di primo livello, come Henri de Toulouse-Lautrec o Giorgio Muggiani. I primi loghi continuano a mantenere alcune delle caratteristiche dei manifesti (elementi realistici, figure disegnate con dovizie di particolari), ed è solo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta che possiamo notare una virata più decisa verso la stilizzazione e la semplificazione che troviamo anche nei loghi più recenti. Non è un caso che nello stesso periodo assistiamo alla diffusione del mezzo televisivo, che avvicina il pubblico alla visione dei Giochi facendoli diventare un evento sempre più universale e accessibile. Il passaggio da un logo caratterizzato da figure realistiche e ricche di particolari come può essere quello di Parigi 1924 a un logo più pulito e facile da ricordare da una platea sempre più ampia e variegata (come può essere quello di Squaw Valley 1960) risulta, in quest’ottica, del tutto naturale. 

Il logo di Squaw Valley del 1960 è anche il primo logo realizzato da un’agenzia pubblicitaria, la Knolling Advertising: un passaggio significativo nell’evoluzione del logo olimpico verso marchio pubblicitario. 

Il presente e il futuro del logo olimpico

Com’è il presente, e come sarà il futuro del logo Olimpico? Il fatto che il logo stia assumendo un valore significativo e riconosciuto è testimoniato anche da quanto si è disposti a pagare per esso: in tempi recenti hanno fatto scalpore i 625.000 dollari pagati a Wolff Ollins per il logo di Londra 2012, per esempio. Non sono solo i numeri, però, a dirci quanto sia cresciuta l’importanza del logo Olimpico come vero e proprio marchio da proteggere e trattare con cura: ce lo dicono anche le varie fasi tramite cui il logo deve passare prima di diventare definitivo. Ce lo dice, soprattutto, il manuale d’uso ufficiale delle “Olympic Properties” (di cui fanno parte anche il simbolo dei cerchi olimpici e la mascotte, oltre che il logo di ogni edizione), che impone severe regole e limitazioni sull’uso del logo, un marchio di proprietà dei Giochi Olimpici stessi. Ce lo dice anche il fatto che, durante le Olimpiadi, nessun marchio (tranne poche eccezioni, come i fornitori delle divise degli atleti) può essere mostrato in maniera troppo evidente. Come a dire che, durante i Giochi Olimpici, solo i Giochi Olimpici possono essere pubblicizzati.

Stabilito il valore del logo nel contesto dei Giochi Olimpici, c’è da chiedersi come si stia evolvendo e come evolverà in futuro per restare al passo con il costante cambiamento dei mezzi promozionali e di comunicazione. Non solo il pubblico dei Giochi è sempre più vasto e vario, infatti: a moltiplicarsi sono anche i canali di diffusione, così come le tecnologie che permettono di cogliere sempre più dettagli e sfaccettature. Oltre ad essere visto da milioni di persone in tutto il mondo, il logo oggigiorno appare un po’ ovunque, come dettaglio o come elemento preponderante: sulle tute degli atleti, sulle medaglie, riprodotto all’interno dei luoghi in cui si svolgono le competizioni, sugli attrezzi usati dagli atleti…una riproduzione continua che non può che influire sulla fattura del logo stesso, che sempre di più sembra essere concepito per essere non solo denso di diversi significati, non solo riconoscibile, ma anche adattabile e riproducibile nei contesti più diversi.

E in futuro? La comunicazione del futuro sarà, con tutta probabilità, sempre più immersiva e partecipativa. Lo è già, basti pensare agli e-games e ai visori, che permettono di calare lo spettatore dentro le competizioni, al cuore dell’evento. In futuro, chissà, forse non saranno più le emittenti televisive a scegliere le inquadrature, ma sarà ogni singolo spettatore a scegliere cosa guardare. Come potrà emergere il logo, in questa situazione? Diventando sempre più integrato nell’ambiente e interattivo, per esempio, come se dovesse guidare lo spettatore attraverso l’esperienza dei giochi. Ed ecco che magari ci potremmo trovare a fare un passo a due con il “Dancing Beijing” o a dare la mano alle tre figure del logo di Rio 2016. Così sì che il logo rimarrà impresso nella nostra mente e continuerà ad essere indimenticabile, anche in futuro.