Sia Mc Donald's sia Burger King hanno realizzato degli spot basati sulle ricerche che gli utenti effettuano su Google. Ecco i metodi e i risultati raggiunti.
Che Google possa essere un ottimo canale di promozione per un brand o un'azienda è risaputo: basta fare una ricerca sul web per notare come gli annunci sponsorizzati di molte aziende compaiano spesso a fianco di quelli organici. Oggi non vogliamo parlare però delle aziende che usano Google Adwords per farsi pubblicità a pagamento sul motore di ricerca, bensì di quelle che hanno cercato modi alternativi per sfruttare Google a proprio beneficio.
Negli ultimi mesi hanno fatto parlare molto di sé due campagne realizzate, guarda caso, da due colossi della ristorazione made in USA, Mc Donald's e Burger King. Entrambe le catene di fast food hanno utilizzato la logica della ricerca Google per pubblicizzarsi, rivolgendosi ad un pubblico (in particolare teenager) abituato a guardare la TV con lo smartphone in mano e a cercare informazioni in internet. I metodi (e i risultati) sono stati però molto diversi.
Ha cominciato Burger King, con uno spot basato sulla ricerca vocale di Google. Come tutti i possessori di Android sanno, per attivare la ricerca vocale sul motore di ricerca basta pronunciare la frase “Ok Google” e quindi formulare la domanda/richiesta. Burger King ha quindi pensato di costruire uno spot con protagonista un proprio dipendente che, non avendo tempo di spiegare cos'è un Whopper (uno dei panini più famosi della catena), attiva la ricerca vocale del proprio smartphone ponendo la domanda e ottenendo una risposta pertinente (nella fattispecie, la definizione che Wikipedia dà del panino).
La trovata, però, ha creato non pochi problemi a Burger King: innanzitutto, la voce letta da Wikipedia risultava palesemente modificata dall'azienda per apparire più promozionale e persuasiva rispetto alle tipiche definizioni dell'enciclopedia libera, che devono essere neutrali e oggettive. Ecco le due voci, prima e dopo la modifica, messe a confronto:
La forzatura non ha riguardato solo la pagina Wikipedia del Whopper, ma anche le ricerche in Google: chiunque si trovava a guardare lo spot col proprio telefono Android accanto, infatti, si vedeva attivare la ricerca del Whopper di Burger King dal comando “Ok Google” pronunciato dall'attore, cosa che ha fatto arrabbiare non poco il colosso di Mountain View (che, tra l'altro, non era stato messo al corrente dell'operazione), tanto da fargli prendere la drastica decisione di disattivare la ricerca pronunciata nello spot per tutti i dispositivi Android.
Quella che in apparenza poteva sembrare una trovata originale, quindi, si è trasformata in una campagna fallimentare. In cosa ha sbagliato Burger King? L'errore più grande, nell'approcciarsi al mondo di Google, Burger King l'ha fatto pensando di andare a forzare le ricerche degli utenti, andando così contro le politiche di Google stesso. Sempre di più, infatti, il motore di ricerca più famoso al mondo pone l'accento sui risultati naturali, facendone una battaglia personale per dare agli utenti risultati quanto più pertinenti e personalizzati. Il fatto che si attivasse una ricerca indipendentemente dalla volontà degli utenti, quindi, era una cosa sulla quale Google proprio non poteva soprassedere.
Per non parlare di Wikipedia: avete mai provato a creare o modificare una voce? I controlli e le regole sono ferree, proprio per evitare la pubblicazione di contenuti promozionali e per fornire informazioni oggettive e imparziali, e nemmeno i colossi e i brand più famosi al mondo, evidentemente, la possono scampare. L'enciclopedia libera vuole restare tale, e non scende a compromessi nemmeno con il responsabile marketing di un'azienda importante come Burger King.
L'ha pensata decisamente meglio Mc Donald's, che ha usato i risultati reali di Google a proprio favore, e soprattutto l'ha fatto senza imporre la ricerca agli spettatori dello spot, come aveva fatto invece il “rivale”. Nello spot diffuso da Mc Donald's, pensato per promuovere una particolare offerta attiva sulle bevande, la nota comica e scrittrice Mindy Kaling afferma che, secondo alcuni, c'è un posto in cui la Coca Cola è particolarmente buona, e invita gli spettatori ad effettuare la ricerca Google per la query “that place where coke tastes so good”.
Il risultato della ricerca è emblematico. Se si effettua la ricerca adesso, ovviamente, alcuni risultati della serp si riferiscono allo spot di Mc Donald's, ma se si filtrano i risultati per spettro temporale, analizzandoli fino a prima dell'uscita dello spot, non si può non notare la presenza di articoli che parlano proprio del fatto che la coca cola, da Mc Donald's, abbia un sapore diverso:
Cosa ha fatto Mc Donald's? E perché non è stato “punito” da Google, pur usandone i risultati di ricerca per farsi pubblicità? La bontà dell'operazione di Mc Donald's sta, innanzitutto, nel non aver forzato gli utenti ad effettuare la ricerca (sì, certo, Mindy Kaling li esorta a farlo, ma nessuno li costringe) e, in secondo luogo, nell'aver sfruttato – probabilmente spingendolo un po' - un risultato naturale che compariva già nelle serp di Google. Il fatto che la coca cola sia più buona da Mc Donald, infatti, sembra essere un fatto risaputo e oggettivo, spiegato dal particolare trattamento riservato alla bevanda nei locali della catena di fast food. A differenza di Burger King, quindi, Mc Donald's non ha falsificato i risultati, né ha dovuto forzare gli spettatori a cercare qualcosa sul motore di ricerca.
A questo punto è necessario fare una considerazione: guardando nello specifico i risultati, si nota che molti degli articoli che parlano del sapore della Coca Cola da Mc Donald's sono abbastanza recenti, quindi è più che lecito pensare che, prima del lancio dello spot, sia stata fatta dalla catena di fast food un'opera di diffusione, sul web, di notizie che parlano dell'argomento. In questo modo, nel momento in cui gli utenti hanno cominciato a porre a Google la domanda suggerita dallo spot, il motore di ricerca è stato in grado di trovare, e mostrare, degli articoli che rispondessero proprio a quella domanda. È comunque vero che della bontà della coca cola servita nei ristoranti Mc Donald's si parlava già da prima, sul web. In altre parole, Mc Donald's non ha inventato una notizia, ma è stato bravo a individuare, cavalcare e amplificare una tendenza che era apparsa in rete.
Mc Donald's è quindi riuscito nell'intento di usare i risultati organici di Google per promuoversi, e per di più l'ha fatto senza mai citare il brand. Per tutta la durata dello spot, infatti, non compaiono loghi o scritte che si rifanno alla famosa catena, e l'unico riferimento al brand sta nei colori scelti: l'abito giallo dell'attrice e lo sfondo rosso, infatti, si rifanno ai colori identificativi di Mc Donald's. Una bella affermazione di potere da parte dell'azienda, che ha così dimostrato di essere talmente riconoscibile da non dover nemmeno citare il proprio nome durante lo spot (sfruttando anzi il nome di due altri grandi brand, Coca Cola e Google, per promuoversi e per dimostrare la propria autorevolezza), ma che ha soprattutto dato prova di saper giocare con le logiche di Google senza mai passare il limite.