Il botto in termini di follower non c’è ancora stato, e forse mai ci sarà. Ma dal giorno del suo lancio, avvenuto ormai un anno fa, Obsessee è un piccolo caso editoriale digital che viene monitorato con grande attenzione dagli addetti ai lavori.
Esattamente Obsessee cos’è? Un social magazine focalizzato sul fashion, beauty, cultura e giustizia sociale rivolto alle appartenenti della generazione Z, con un focus sulle ragazze che hanno tra i 14 e i 22 anni. Una pubblicazione di nicchia. Ma con due particolarità: ha rivisto totalmente il modello standard di distribuzione dei contenuti, e non si appoggia ad un sito web (o meglio, che si può definire tale).
Detta così non sembra niente di eccezionale, invece Obsessee potrebbe cambiare tutto. Innanzitutto le strategie editoriali: il modello standard adottato da tutte le testate attualmente si basa sulla distribuzione di contenuti tramite i social per condurre gli utenti nel content hub di riferimento dove genereranno, tramite la loro navigazione, una serie di dati rilevanti per le metriche con cui si misura il successo di un progetto digital, ovvero click, visite, visualizzazioni di pagina, insomma tutti dati utili alla rivendita degli spazi.
Obsessee si differenzia in maniera fondamentale: i social non sono più dei canali di distribuzione per catturare l’attenzione ma sono essi stessi le piattaforme che ospitano i contenuti, che così nascono e muoiono nell’arco di poche ore con un ciclo di vita veramente brevissimo.
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Per usare le parole della direttrice editoriale Naomi Nevitt “Vogliamo che le nostre storie siano più simili agli aggiornamenti provenienti dalla propria rete di amici, che contenuti distribuiti da una testata”.
Essendo unico nel suo genere, parte integrante del workflow giornaliero della redazione di Obsessee è quello di condurre continui focus group ma anche test sulla tipologia di contenuti e sugli argomenti, sul taglio da dare così come sulle nuove modalità di fruizione: per essere al passo con un pubblico in continua evoluzione, in special modo se si parla di Generation Z e social network, la sperimentazione deve entrare a far parte delle attività quotidiane per diventare una forma mentis.
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Quello che, di fatto, fa questo nuovo Social Magazine è di portare la conversazione ad un nuovo livello nel quale gli utenti stessi, oltre a commentare e condividere, suggeriscono gli argomenti del momento taggando la pagina Obsessee di riferimento, garantendo in questo modo materiale fresco in maniera continua. Ovviamente dal punto di vista più manageriale la gestione di una tale iniziativa non segue i normali standard editoriali: il team di 4 editori che coordina gli oltre 50 contributors che generano la maggior parte dei contenuti deve essere da un lato sempre pronto a cogliere le novità del momento e, dall’altro, a trovare il modo di distinguersi grazie ad un punto di vista originale, per evitare di vedere i propri aggiornamenti affondare nel mare magnum della folla che tratta contemporaneamente lo stesso argomento.
Inoltre, non esiste un modello scalabile di collaborazione con i brand per monetizzare l’esposizione di cui Obsessee gode, dato che ogni singola attivazione deve essere customizzata per il canale nel quale viene distribuita, impedendo quindi una gestione ottimizzata.
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Non sembra essere un problema invece, almeno per ora, la mancanza di un hub proprietario che di fatto consegna la diffusione dei contenuti del magazine ai capricci degli algoritmi dei vari social, che subiscono variazioni e aggiornamenti quasi quotidiani: il fatto stesso di lavorare con i trending topi dovrebbe essere un’assicurazione sufficiente per garantirsi di essere sempre sulla cresta dell’onda.
Per un progetto come Obsessee i dati, naturalmente, sono importantissimi anche se, per loro stessa ammissione, esiste un problema di definizione del cosiddetto “utente unico” in quanto i pubblici target delle varie piattaforme sono almeno in parte sovrapponibili, rendendo incerta la portata complessiva dell’attività editoriale; in ogni caso, il recente annuncio di importanti investimenti per il potenziamento della produzione video sembra essere il segnale l’esperimento, dopo 12 mesi di test, è perfettamente riuscito ed è pronto a fare il salto di qualità.