Proteggere il brand anche a discapito della distribuzione: la decisione del Comitato Olimpico Internazionale va in questa direzione. E fa la cosa giusta...
Skipass pronti, si parte.
Il 9 febbraio 2018 apriranno i cancelli dei 23esimi Giochi Olimpici invernali, quest’anno organizzati a PyeongChang, in Corea del Sud, una città che punta a confermare la propria reputazione come organizzatrice di grandi eventi sportivi, dopo le Olimpiadi estive del 1988.
I coreani sono efficentissimi: i lavori procedono spediti e ci si aspetta una grande edizione all’insegna dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità. Per una volta, sembrava che andasse tutto bene, poche polemiche, poca ansia da ritardi.
Sembrava, perchè lo scorso 5 dicembre è arrivata la vera notizia di questi giochi invernali: sarà un’Olimpiade senza Russia.
Dalla propria sede di Losanna, in Svizzera, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) - proprietario dell’evento - ha bandito il paese dai giochi. Stiamo parlando di un paese capace di vincere 15 medaglie nel 2010 e 22 nel 2014, quando giocava in casa, a Sochi.
Il tutto per una brutta storia di doping. Apparati di stato russi sarebbero stati coinvolti a vari livelli nella manipolazione dei test anti-doping dei propri atleti, ai Giochi invernali del 2014 e oltre. Il conivolgimento è totale: si va dal comitato nazionale ai laboratori deputati alle analisi, passando per servizi segreti e funzionari di ministeri. Il tutto a favore degli atleti russi, avvantaggiati - secondo le indagini del CIO - dalla “sparizione” dei loro test positivi alle sostanze dopanti.
La vicenda, su cui andrebbe scritto un romanzo, ha assunto i connotati di una spy-story dei tempi della cortina di ferro. Laboratori con doppi fondi per nascondere i campioni, provette a prova di effrazione che sarebbero state violate sistematicamente nocte tempore con strumenti sofisticati, i russi che accusano gli americani di aver ordito una campagna denigratoria nei loro confronti per falsare le prossime elezioni, hacker che violano database mettendo in piazza i dati sanitari di atleti di tutto il mondo… Insomma, ce n’è per tutti.
Non è la prima volta che il mondo olimpico affronta uno scandalo. In più occasioni si è parlato di corruzione e malaffare nel corso degli anni. Eppure mai lo scandalo aveva toccato così da vicino il core business del CIO, l’essenza del tutto: le competizioni sportive.
Le competizioni sportive sono il vero prodotto dei Giochi, un prodotto che conta top sponsors del calibro di McDonald, Samsung, Panasonic, Omega, LG, P&G e Visa, tra gli altri. Sponsor che non vogliono vedersi associati al sospetto dell’inganno.
È un prodotto che viene acquistato da broadcasters di tutto il mondo, e di riflesso da un’audience globale, a fronte di un valore che aumenta di edizione in edizione. Parlando dei soli Giochi invernali, nel 1960 le revenues derivanti da broadcasting ammontavano a 50 mila dollari. Torino 2006 fruttava già 831 milioni. Vancouver 2010 e Sochi 2014 circa 1.3 miliardi, per 48 mila ore di televisione prodotte.
La Russia è un mercato importante, per i Giochi invernali. Nel 2014, quando il paese ospitava a Sochi la 22esima edizione dell’evento, l’85% degli spettaotri russi aveva visto almeno 15 minuti di programmazione. Numeri impressionanti, più di quanto fatto registrare da tutte le trasmissioni sportive Made in Russia dei sei anni precedenti messi insieme.
Eppure il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso. Il suo Presidente Thomas Bach è stato categorico: la Russia sarà bannata da PyeongChang. Il percorso di riabilitazione prevede una multa da 15 milioni di dollari per rimborsare le spese sostenute nelle indagini sulle frodi, l’ostracizzazione dei funzionari russi coinvolti nell’affaire, e controlli più serrati. Solamente alcuni atleti russi, ritenuti “puliti” oltre ogni ragionevole dubbio, potranno competere. Senza alcun riferimento ai colori della loro nazione, sotto il nome di “Olympic Athlete From Russia”, senza bandiera, senza inno, senza nessun personale di supporto (dagli allenatori ai medici, dai massaggiatori ai team leader) che non siano considerati assolutamente estranei allo scandalo.
Questo avrà sicuramente un riflesso commerciale. Il CIO perderà un pezzo importante del proprio mercato. Meno atleti russi, meno audience. Meno audience, meno brand exposure. Meno brand exposure, meno valore generato. Sembra un’equazione semplice, che avrebbe potuto spingere gli uomini di marketing di Losanna a trovare soluzioni alternative, più soft, di compromesso.
Non questa volta. Il CIO ha scelto la linea dura - correttamente, secondo la stragrande maggioranza degli analisti della sport industry. Ha deciso di proteggere il proprio prodotto, mettendo l’integrità del brand prima di ogni considerazione commerciale a breve periodo.
Le gare non possono essere falsate dall’indebito vantaggio dato dalla chimica. Con i risultati non si scherza. Sono alla base della credibilità del prodotto, ed in ultima analisi del CIO stesso, che per assicurarsi revenues sul lungo periodo ha scelto di non tentennare. Astraendo, potremmo ben dire che il brand ha vinto sulla distribuzione. Meglio una gallina domani, che un uovo oggi, soprattutto se l’uovo è avvelenato.