La chiamano “Retail Apocalypse”.
Iniziata nel 2010 in Nord America ha colpito l’intero mondo del retail portando alla chiusura di circa 9.000 negozi negli Stati Uniti nel 2017 e ad una previsione, secondo Cushman & Wakefield, di altri 12.000 nel 2018.
Nonostante in Italia siano previste 70 nuove aperture di Centri Commerciali entro il 2020, non sono attualmente stimabili le previsioni di quante saranno le chiusure, che colpiscono prevalentemente i centri più piccoli. Massimo Moretti, Presidente del CNCC-Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, ha dichiarato a Sky TG24 che “Non è una cosa che riguarda l’Italia, noi registriamo fatturati in crescita e in generale possiamo dire che in tutta l'Europa il settore dei Centri Commerciali funziona e attira tantissima gente”.
Certo, l’e-commerce ha la sua parte di responsabilità: ma perché?
I “Millennials”, generazione simbolo che sta segnando il passaggio alla società digitale, stando ai dati del Rapporto Italia Eurispes 2017 trascorrono mediamente 2 ore e 41 minuti sullo smartphone. In Italia sono circa 11 milioni ed entro il 2020 questa fascia d'età costituirà il 25% della popolazione di Europa e Stati Uniti.
Secondo gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano nel 2017 l’e-commerce è cresciuto del 17% fino a 23,7 miliardi di euro. Considerato che ben un terzo di tale cifra è stato speso da device mobili, gli italiani che usano Internet in una o più fasi del processo d’acquisto con più di 14 anni sono ormai il 60% della popolazione, e si aspettano di vivere customer experiences integrate: negozio, web, e-commerce, social. Dunque, diventa imprescindibile per tutti gli operatori del settore lavorare a 360° per riuscire a coinvolgere il cliente finale: le persone interagiscono, comunicano e spendono in virtù delle esperienze che vivono grazie al brand.
La crisi c’è, inutile negarlo. Ma invece di fermarsi e soccombere si può scegliere di seguire il consiglio di una delle menti più illuminate del secolo scorso: Albert Einstein. “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. (...) Senza crisi non c’è merito.”
Ecco dunque che chi fa di questa filosofia la sua forza, si trasforma, evolve e anticipa i competitors. Come Adidas.
Il mese scorso in un’intervista al Financial Times, Kasper Rorsted,CEO di Adidas, comunica che negli anni a venire verranno chiusi numerosi negozi nell’ottica di focalizzarsi sulle vendite online. A suo dire, infatti, “il nostro sito web è il più importante negozio che abbiamo nel mondo” e gli obiettivi entro il 2020 sono di aumentare di più del doppio le vendite online, per passare dagli attuali 1,6 miliardi di euro a quasi 4 miliardi di incassi. E aggiunge: “Avremo meno negozi, ma saranno migliori”.
Ed infatti è seguita la nascita del nuovo brand center di Corso Vittorio Emanuele a Milano: The Home of Creators. Inaugurato il 29 settembre dal calciatore David Beckham, si estende su 1.300 mq con un layout architettonico che riprende il concetto di “stadium” e permette un coinvolgimento sia fisico, sia digitale. A partire dai giorni precedenti all’inaugurazione, una serie di eventi dedicati a football, running e training permettevano alle persone di potersi sfidare in vari punti della città e di potersi aggiudicare la partecipazione all’esclusiva inaugurazione dello store insieme al campione. Questo ha generato una fortissima partecipazione sui social, poi proseguita anche durante le visite in-store, dove i clienti hanno usato gli spalti all’ingresso come set per le proprie foto, condivise nei social con l’hashtag #heretocreate. All’interno del center sono presenti anche aree di gioco, tapis roulant e zone relax.
Come racconta il Senior District Manager Adidas Lorenzo Maccabiani: “Si tratta di un nuovo concetto dove si crea engagement su più livelli. Abbiamo voluto realizzare un ambiente che emozioni, dove potersi mettere in gioco e divertirsi mentre si provano i prodotti Adidas.”
Seguendo la medesima scia, anche il format dei Centri Commerciali ha la necessità di evolvere e cavalcare la rivoluzione in termini di engagement e di approccio culturale e sociale. Il cliente, infatti, non si limita più a vivere lo spazio commerciale per fare acquisti, ma ricerca un luogo dove trascorrere un’esperienza diversificata che spazi dal food all’intrattenimento, dove trascorrere in compagnia qualche ora di svago anche con i più piccoli.
Da qui la nascita di strutture che comprendono all’interno cinema multisala, palestre, aree bimbi, ma anche spazi dedicati a mostre ed eventi, shopping center che, secondo la dichiarazione di Philippe Daverio in un’intervista a Mark Up di Aprile 2018 “aspirano a diventare luoghi centrali e di attrazione sul piano sociale e culturale, come le piazze medievali”.
L’evoluzione da engagement a “edutainment” è già in corso. Le soluzioni? Eventi e servizi. Nomi vecchi, che vanno interpretati in un modo nuovo.
Emergono gli eventi che portano significato all’interno dei Centri Commerciali, esperienze arricchenti e non solo intrattenimento autoreferenziale. Pensiamo ad esempio al Centro Commerciale Ipercity di Padova, che organizza il “Weekend dell’aria”, facendo informazione e cultura sul volo a vela all’interno del Centro, con l’istallazione di veri alianti in galleria, presentazioni, incontri con i piloti e l’offerta di esperienze che travalicano i confini dell’area commerciale. Un successo di pubblico, un’esperienza memorabile che lega veramente il Centro al territorio.
Diventano poi determinanti i servizi ancillari che sfruttano le nuove tecnologie per offrire soluzioni veramente smart, e non solamente “luci e colori” che sorprendono il cliente “una tantum”. È il mondo dell’integrazione, della contaminazione tra strumenti e informazioni, dell’Internet of Things. Si va dalla realtà aumentata alla RFID (Radio Frequency Identification), basata sulla propagazione nell’aria di onde elettro-magnetiche, utilizzata per esempio da Zara nel primo pop-up store situato all'interno del grande Centro Commerciale Westfield Stratford City di Londra.
Se le abitudini di acquisto stanno mutando, non rimane quindi che essere flessibili. Non è in effetti una scelta, bensì una necessità. D’altronde Charles Darwin, il teorico dell’evoluzione, amava ripetere: “Non è il più forte che sopravvive, né il più intelligente, ma il più aperto al cambiamento”.