La finale del campionato NFL è l’evento dell’anno negli USA, che parte dallo sport ma ha ramificazioni sulla musica, l’entertainment e la cultura. Un’occasione d’oro per i brand che vogliono cogliere il momento per farsi pubblicità, e non solo in televisione.
È il 3 febbraio 2013. 47esimo Super Bowl. Si gioca al Superdome di New Orleans la finale del campionato di Football NFL tra Baltimore Ravens e San Francisco 49ers. È l’evento mediatico più seguito dell’anno, con centinaia di milioni di persone a seguire la diretta in tutto il modo. Quando il cronometro segna i 13’22’’ restanti del terzo periodo, succede però qualcosa di inaspettato, qualcosa mai successo prima. Un black-out, via le luci, non si può giocare. Sarebbe un problema se succedesse durante una partita di serie C in Italia, figuriamoci alla finale del Super Bowl. Mentre i tecnici cercano freneticamente di risolvere il problema, le due squadre sono costrette ad una pausa forzata. Lunga. Lunghissima: saranno 34 i minuti di stop. Negli uffici dei broadcasters sono momenti di isteria. Altri invece, cavalcano l’onda: l’agenzia creativa di Oreo – con il suo team di 15 persone – è pronta per reagire in real-time ad ogni evenienza: e cosa c’è di meglio di uno stop prolungato per portare l’attenzione dell’audience sul second screen? La card “You can still dunk in the dark” prodotta dal team e divulgata sulle piattaforme digital durante il black-out spopola, generando altissimi numeri di engagement, e rendendo Oreo l’unanime vincitore della serata. A detta di molti, il brand registra il return on involvement più alto tra tutti gli advertiser della giornata, alla faccia degli investimenti milionari di chi ha pianificato ad televisivi durante i break della partita.
Power out? No problem. pic.twitter.com/dnQ7pOgC
— OREO Cookie (@Oreo) February 4, 2013
Quel momento – il momento Oreo - può essere identificato come simbolico per comprendere l’importanza degli investimenti digital durante i grandi eventi sportivi, anche per quelli – di cui il Super Bowl è capostipite – storicamente legati all’advertising tradizionale in TV.
Il costo dei commercial televisivi durante la finale del campionato NFL sta continuando a crescere. Se nel 2002 uno spot di 30 secondi poteva costare 2,3 milioni di dollari, nel 2016 ha toccato i 5 milioni (dati Nielsen e CBS). La causa dei clamorosi costi di questi piccoli spazi pubblicitari risiede, in primis, nel fatto che il Super Bowl è il programma televisivo di gran lunga più visto negli Stati Uniti (19 dei 20 programmi con l’audience più alta nella storia della tv USA sono finali NFL, per Nielsen). Riconosciuta questa incredibile chance di arrivare ad un pubblico così vasto (111.9 milioni di spettatori medi nel 2016), brand come Apple, Budweiser, Pepsi e tanti altri hanno investito ingenti budget in contenuti con produzioni di livello cinematografico e creatività ricercatissima per cercare di attirare l’attenzione degli spettatori. L’americana GoDaddy, compagnia di web hosting, è un ottimo esempio di azienda il cui successo è legato fortemente all’esposizione garantita dal Super Bowl: pensiamo che dopo il loro primo spot nel 2005 la quota di mercato del brand negli USA è passata dal 16 al 25%, crescendo fino al 42% del 2007. Tra le memorabili campagne di GoDaddy, una delle più celebri è quella del 2013 che ha visto la celebre modella Bar Refaeli dare un bacio appassionato ad un impacciato nerd, scatenando così infinite reazioni sul web e garantendo un’altissima awareness.
Un’indagine condotta da Influence Central prima del 51esimo Super Bowl, che si terrà il 5 Febbraio 2017 all’NRG Stadium di Huston, Texas, ha rivelato che il 78% degli appassionati americani dichiara che sarà attivo sui social media durante la partita. Il dato interessante, e che ci permette di comprendere appieno l’evento, è che il 38% degli intervistati dichiara di voler commentare le pubblicità viste durante la partita, contro il 32% deciso a postare in merito alla partita di football che, tra uno spot e l’altro, dovrebbe essere la vera attrazione.
L’attesa che si crea intorno alle pubblicità che verranno mostrate durante la partita è spasmodica, specie per quanto le aziende stesse fanno filtrare, annunciando gli attori che prenderanno parte allo spot o rilasciando video teaser che spingono l’hype. Proprio questo buzz incontrollato che si genera intorno all’evento, ha portato a poco a poco campagne sempre più imponenti anche sui canali digital: se è vero dire che, rispetto a tutti gli altri eventi sportivi del mondo, il Super Bowl ha la peculiarità di attirare lo spettatore anche nelle pause pubblicitarie, l’importanza dell’essere presenti sui social media è ormai riconosciuta ampiamente.
È un caso emblematico, ed ancora una volta i grandi eventi sportivi si dimostrano terreno di sfide creative e concettuali importanti per l’advertising industry. Il focus si sposta dalla realizzazione all’ideazione, la flessibilità acquista valore tangibile. L’idea alla base della campagna deve essere abbastanza forte da poter essere declinata su media differenti, con tempi e tecniche diverse. Dallo spot Hollywoodiano preparato con mesi di anticipo al post diffuso su Twitter in pochi secondi, l’idea forte alla base della campagna deve poter reggere lo stress dell’evento sportivo. Per sfruttare appieno l’hype dell’evento live, infatti, anche l’advertising deve avere la capacità di essere percepito come real-time, sostanzialmente autentico, in linea con il mood del consumatore, che vuole essere parte e non solo guardare dal buco della serratura.
Tornando al Super Bowl, l’effort delle agenzie pubblicitarie si è orientato sul creare un piano di comunicazione che abbia come apice quei trenta - costosissimi - secondi di spazio televisivo, ma che si declini a livello digital in modo da capitalizzare le risorse investite sull’evento (si stima che molte aziende allochino fino al 20-30% del proprio budget di marketing annuo sul Super Bowl). Un esempio interessante è quello di Snickers, che quest’anno ha arruolato l’attore Adam Driver (il malvagio Kylo Ren nella saga “Star Wars”) per una campagna che culminerà con uno spot girato durante la partita stessa, il secondo spot di sempre – dopo Schiltz nel 1981 – realizzato in real-time nel mezzo del Super Bowl (ecco l’advertising che partecipa all’evento). Oltre ad una serie di video teaser pubblicati sui canali social di Snickers, il set adibito nel NRG Stadium di Houston è stato ripreso per 36 ore, con comparse di influencer e celebrities all’interno di un live streaming sul sito del brand e sulla pagina Facebook ufficiale.
La National Football League, d’altronde, è la massima espressione di right-holder sportivo che integra media tradizionale e i new media. La stagione 2016-2017 è stata infatti la prima in cui le partite del Thursday Night sono state trasmesse in diretta su Twitter; l’accordo da 10 milioni di dollari ha portato risultati molto soddisfacenti (circa 250 mila spettatori di media nelle 10 partite, e un’audience al 70% sotto i 35 anni, per Twitter), e ha permesso un ulteriore step in avanti per la NFL per offrire agli appassionati contenuti e coinvolgimento, e ai propri partner un’esposizione con un target diverso e molto appetibile, ed al contempo ha posto un’interessante risposta a tante domande ancora aperte circa lo sviluppo futuro della second screen experience. Avremo contenuti diversi su schermi diversi, o lo stesso contenuto riproposto su più schermi? Dopo oltre dieci anni di sviluppo a briglie sciolte dell’entertainment sui social, saranno di nuovo i grandi network e i detentori delle properties più ricche a dettare le regole del second screen? Oggi non c’è una risposta condivisa nella media industry, ma è certo che ancora una volta l’advertising svolge un ruolo da apripista, trovando le formule più efficaci per monetizzare le specificità di fruizione di ogni schermo, anche quando salta la corrente.