Quello che si sta per concludere è stato un anno che ha visto il mondo del retail dibattere animatamente su quanto la digitalizzazione abbia portato vantaggi o creato difficoltà allo store fisico.
Come è noto, l’orientamento del mercato ha attraversato diverse fasi a partire dagli anni Cinquanta, dove il prodotto veniva posto al centro dell’attenzione per passare, verso gli anni Novanta, ad un mercato customer oriented. Negli ultimi dieci anni circa, con l’avvento del nuovo millennio, il brand è stato protagonista nelle strategie di marketing, fino a quando l’accelerazione digitale ha costretto le aziende ad occuparsi e dedicarsi alla trasformazione e modernizzazione delle strutture e delle politiche di mercato.
L’individuo si è ritrovato solo, immerso in una comunità infinitamente più numerosa della cerchia di conoscenze che aveva prima, ma fittizia. A quel punto i Big Data che la tecnologia mette a disposizione degli addetti al settore hanno cominciato a diventare solo uno degli aspetti che possono favorire quello che il Professor Kotler chiama “precision marketing”.
Quello che è emerso al “Philip Kotler Marketing Forum”, tenutosi venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre a Bologna, nell’affascinante location di FICO Eataly, è che le denominazioni più diffuse dei settori B2B e B2C sono a tutti gli effetti obsolete e lasciano il posto a quello che Bryan Kramer definisce H2H: human to human. In questo modo l’economia di arricchisce di un quinto pilastro, aggiungendo “People” alle 4P che stanno alla base del marketing.
Le persone comprano, le persone esprimono preferenze, le persone sono alla base di qualunque attività e di qualunque transazione. Conoscerle e metterle al centro dell’equazione diventa quindi fondamentale. E, a maggior ragione, affiancare Small Data, cioè tutte le informazioni che derivano dalle emozioni degli utenti ai dati più analitici risulta la strada più efficace da seguire.
Martin Lindstrom ne è il più autorevole portavoce e nel suo affascinante intervento dedicato al Neuromarketing ha evidenziato come il mercato sia passato da verticale ad orizzontale: non c’è più l’azienda che realizza un prodotto, crea l’esigenza nel mercato tramite la campagna promozionale e vende, applicando una politica Inside-Out, ma l’azienda ascolta il sentiment del mercato e i bisogni dell’utente, e cerca di concepire prodotti che soddisfino quelle esigenze, adottando una politica Outside-In, come ben spiegato negli ultimi scritti del Professor Kotler e di Giuseppe Stigliano, docente di Retail Marketing Innovation ed Executive Director Europe in AKQA.
Oggi, ciò che gli utenti utilizzano maggiormente come metro di misura per valutare un brand e decidere di diventarne promotore sono i valori che esso rappresenta. I clienti si riconoscono nei valori in cui un’azienda crede, creano comunità, virtuali e non, che condividono gli stessi ideali. E la condivisione avviene soprattutto online, formando quella social proof che Amazon intuì negli anni Novanta (inserendo la possibilità di lasciare recensioni sui prodotti) e che ad oggi è diventata la maggiore e più efficace forma di advertising. Tutto ciò ha fatto sì che le logiche di interazione del più grande social di tutti i tempi mutassero. Non per niente i contenuti privilegiati e più amati sono quelli che raccontano le storie reali, che portano le emozioni di chi le ha vissute sul palcoscenico più grande del mondo.
Sì. L’unione di nuove tecnologie immersive e gli insight mirati risultano il mix vincente che forma quella che oggi viene definita omnicanalità, che di fatto porta il commercio digitale ad allearsi con il commercio fisico per un coinvolgimento a 360° e dare la possibilità di compiere acquisti realmente a misura d’uomo, a seconda delle preferenze dell’utente tra l’affidarsi all’acquisto vis-a-vis con il commesso (come emerge da uno studio effettuato da Carrefour sulla bassa percentuale di gradimento delle casse automatiche che eliminano l’interazione human to human) e l’acquisto online, che può agevolare chi ha poco tempo.
Si rende dunque necessario costruire una rete che accompagni il customer journey in tutte le sue fasi e dia la possibilità all’utente o di iniziare la sua ricerca e di approcciarsi al brand online, per poi concludere il suo acquisito nel punto vendita fisico oppure, viceversa, di essere coinvolto in un’esperienza emozionale all’interno di un negozio e poter poi finalizzare gli acquisti sulla piattaforma digitale. Non ha importanza dove si conclude la transazione, l’importante è che il Phygital marketing, questo il modo in cui viene denominato, sia semplice e veloce, in linea con il principio “be seamless” che Kotler e Stigliano hanno individuato all’interno delle “10B”: dieci principi che possono aiutare le aziende ad identificare quali valori perseguire e comunicare, per avvicinare il cliente al proprio brand, e cominciare a costruire quel circolo virtuoso che porta un utente a diventare ambasciatore stesso del brand.
Perché, come ha ricordato Lindstrom alla fine del suo intervento, citando Maya Angelou: “People will forget what you say, they will forget what you do, but they will never forget how you make them feel”. (La gente dimenticherà quello che dici e quello che fai, ma non dimenticherà mai come li fai sentire).